Il piccolo Hans - anno XVI - n. 62 - estate 1989

stito e il plagio tecnologico, l'impotenza sul piano dell'invenzione». Essere moderni, per gli arabi a Bagdad mille anni fa e per gli arabi d'oggi significa riscoprire la grande lezione dell'antidogmatismo, dichiarare che non esiste nessuna verità «a priori». Ma «la modernità», scrive Adonis, «non è solo libertà di pensiero: è anche libertà dei corpi e dei sensi. È liberazione dal rimosso. Pensare in maniera davvero moderna per l'Arabo è, oggi, pensare quello che non ha ancora potuto pensare sul piano religioso, sociologico, culturale, politico e personale. Non c'è modernità al di fuori di questo orizzonte». A sostenere questa posizione radicale arriva in soccorso la poesia, di Abu Nuwas (757814), Abu Tammam (788-845) e Niffari (morto nel 965) e più avanti quella di Mutannabi (915-965) e Ma'arri (morto nel 1058), una poesia mai precostituita, una poesia progettata per sfidare il futuro, per sviluppare, come un filo di seta, il pensiero del futuro dopo avere criticamente distrutto l'accettazione passiva delle tradizioni imposte dalla dispotica politica dominante. E concludo le citazioni dalla lezione di Adonis (avvertendo che le traduzioni dal francese sono opera mia e mi scuso per le inevitabili imperfezioni di questo passaggio mediato tra arabo e italiano) con l'espressione di una condanna dello statu quo attuale che unifica crisi occidentale con crisi araba: «Nel presente storico il pensiero occidentale si consegna al Satana della tecnologia e il pensiero arabo-islamico a quello del dispotismo. Entrambi sono catturati dal medesimo ingranaggio. Ibn Sina (Avicenna, 980-1037) diceva: "Ogni essere che esiste nella propria essenza, la sua essenza gli appartiene; e ogni essere che esiste nella macchina, la sua essenza appartiene all'altro". Ecco la crisi profondà, che è occidentale e araba nello stesso tempo». Con queste parole di Adonis arriva alla conclusione (provvisoria?) il mio viaggio nella poesia araba; confesso 183

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