«schermo -fluorescente» dove qualche cosa del testo si rivela, mentre la sua verità finale o totale resta «più in là», in un inaccessibile altrove... Ma si dovrà accennare a qualche «fatto concreto», sia pur modesto, che riguardi l'incontro-scontro fra poesia e televisione. In primo luogo c'è sempre la questione della lettura, intesa come momento eminentemente fonico-ritmico. Si può affermare in tutta tranquillità che poco o nulla si è fatto per comprendere il vero significato della «lettura di poesia», in qualunque sede essa avvenga. Esistono attori colti e consapevoli che riescono a dare «gradevoli» interpretazioni «vocali» di un testo poetico, riuscendo a far risaltare ora il messaggio referenziale (logico) ora i valori del suono e del ritmo. Anche gli autori talvolta leggono «bene»: e ciò nel senso di una comunicazione confidenziale, a tu per tu (che tenderebbe a sciogliere il magma del «tutti» in persone singole cui la poesia è direttamente rivolta), o anche di un misterioso monologo, non presumente alcun pubblico definito, e capace per questo di mettere in luce, tra l'altro, il rapporto tra la poesia e i primissimi stadi del linguaggio infantile (monologo a due, o di più «infanti» che monologano-cinguettano, in parte ignorandosi, in parte ascoltandosi). Più avanti si ritornerà sulle questioni riguardanti la «performance» del o dei poeti come tale. È chiaro però che in nessuno di questi casi si esplicita quello che Lacan ha chiamato lo spessore polifonico della lingua, che è ben presente a chiunque scriva versi, e che si ricollega alla multidimensionalità del testo quale è stata illustrata sopra . Ci si augurerebbe allora una pluralità di voci, a ognuna delle quali potrebbe essere affidato in lettura («scoprimento») uno dei livelli del testo: logico-semiotico, ritmico, fonico, musical-mentale (tropi retorici, «immagini» varie, «consonanze» morfo-sintattiche). È tutto un terreno da esplorare. Io stesso, ancora negli anni cinquanta, . 154
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