Il piccolo Hans - anno XVI - n. 62 - estate 1989

stesso, crei l'illusione di se stesso: spettro attraversato dai simboli di Marlow come da oggetti opachi, solidi. Bere, ascoltare, fare osservazioni generiche sulla vita, non avere un racconto proprio, accennare di sì col capo: di questa stoffa è fatto l'«io» che soccorre Marlow, l'eroe. Ci vogliono quel torpore, quell'intelligenza regredita a istinto, a un solo istinto - ascoltare - perché il fatto della memoria di Marlow possa essere avvertito: non già come complicazione psicologica - ché anzi quella sarebbe «la cosa meno interessante di tutte»13 -ma come fato che, di colpo, per caso, si abbatte sull'insignificante. Mostrare quella fatalità che è la parola: fatalità assoluta, senza attributi; non detto dell'oracolo da chiarificare, ché quello sarebbe ancora lavoro del simbolo: in questo è la chance dell'«io». Ci vuole il suo mutismo per far sentire tutt'intero il beneficio del cambiamento; la grazia che è nella parola, ne°Ila disposizione nativa della vita ad essere voce. Nessun occhio si posa sull'io, nessuna parola lo contiene, eppure, lo sappiamo, tutto suo è il racconto. A differenza del Vecchio Marinaio, Marlow non sorge dal nulla: sorge quando l'«io» lo vede. A differenza dell'Ospite Nuziale, l'«io» non è solo prigioniero, ma anche autore del racconto. La lingua di Conrad si fa attraverso di lui davvero sottile, magica: sembra sul punto di doppiare se stessa, di arrivare a poter dire «io» però sottraendosi a quella centralità che la schiaccia. Solo uno spettro poteva aiutarla a tanto. Tra l'«io» e la «vita» di cui esso così banalmente generalizza, si stabilisce questa fondamentale identità: che entrambi non hanno nome, né storia possibili. Perciò l'«io», che pure possiede il racconto, non ha alcuna storia propria. Esso, che confina direttamente col mare - ricordiamo le primissime parole: «non poteva capitare che in Inghilterra, dove gli uomini e il mare, per così dire, si interpenetrano» (p. 9) - non ha una storia, ma è la storia, il divenire stesso della vita. Il suo narrarsi. 148

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