Il piccolo Hans - anno XVI - n. 62 - estate 1989

«io». Forse è più il racconto, più Marlow, ad aver bisogno dei topi che non viceversa. Ma non sono che pochi incerti passi. Col loro mutismo, il loro non dare risposta, i topi rodono il tessuto fitto dei simboli; fanno cadere quel riparo, lo bucano, finché si sente un brulichio di altri passi, senza direzione. Filtrano i rumori di altre vite, che sfuggono. Che il racconto manca, o appena sfiora. "anime oscure, stolide" (p. 26) «Dark stolid souls»: è l'ultimo equipaggio imbarcato dalla Judea, quello che la condurrà in Oriente. Perché, a differenza di quelle che l'hanno preceduta, questa «ciurma di disperati venuti da Liverpool» ha, dice Marlow, «la stoffa»: «the right stuff». È il mare a dargliela, «quella vastità, quella solitudine, che circondano le loro anime oscure, stolide». Appena un gradino più su dei topi nella scala degli esseri, queste anime avvolte in una nebbia troppo fitta perché il racconto possa penetrarvi, salvano tuttavia l'impresa, e con essa il racconto: che mostrano anzi radicato e infitto proprio nella loro oscurità. Al racconto, sono insieme prato e deserto: perché la favola incomincia da lì; da quella inconsapevolezza di ogni meta che non sia la vita stessa e il suo quotidiano ripetersi fino alla morte, sempre al di qua della voce. Questi marinai che Marlow presenta come pura assenza di significato, assoluta mancanza di intenzionalità-vita che nulla vuole dire, estranea al meaning-sembrano a prima vista materia interamente sottoposta a quella suggestione del nulla, dell'inesprimibile, dalla quale le sue parole sanno ricavare i loro più consapevoli effetti. Non è un caso che compaiano, right stuff, nel momento estremo: quando la nave sta per cedere al fuoco, ma anche per cedere al racconto il massimo di significato di cui è capace. Tuttavia, 145

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==