Il piccolo Hans - anno XVI - n. 62 - estate 1989

(e a questo punto, continuare a scrivere cos'altro è se non sperare in un aiuto da quell'«io» muto, che resiste a Marlow, proprio col suo mutismo? Ma ancora non mi riesce di raggiungerlo. Devo ancora ascoltare Marlow. Eccolo che ricomincia:) "Era il mio primo viaggio in Oriente" (p. 9) Il viaggio, che è tutto un partire e un tornare indietro fino all'arresto finale sulla soglia, è il primo in Oriente. Per questo suo essere «primo» e «in Oriente», esso merita secondo Marlow di essere immortalato nella memoria. Il racconto porta la vita a oriente, alla sua giovinezza: là dove essa si coglie, quanto più si è spesa, come una pienezza sorgiva. Si coglie insieme come un essersi spesa e uno stare per cominciare: in un suo essere perciò non caduca. Sottratta al tempo. A mano a mano che si avvicina ad esso, l'Oriente si rivela a Marlow, che ne vien cogliendo i segni premonitori, come l'estrema vecchiezza del mondo, finché all'ultimo gli appare «vivente e immutato» (p. 38). L'immutabilità è un ricordo del tempo paradisiaco, di quando la terra ospitò, a oriente dell'Eden, il giardino di Dio, e la vita era esente da mutevolezza e da morte. Era vita, ma sempre anche giovinezza. Fuori del tempo: perciò immutata. Ora l'Oriente di Marlow ha raccolto l'eredità ideale di quella vita-non-vita. Anche la «giovinezza» del titolo è da intendersi, in senso non solo anagrafico; ce lo dice la caratterizzazione del capitano, che ha sessant'anni ma è anche lui al suo primo imbarco per l'Oriente. Approssimandosi all'Occidente della sua vita, egli è visto attribuire al viaggio una pienezza di significato addirittura superiore a quella che a suo tempo lo stesso Marlow gli aveva saputo dare. È lui che giganteggia nell'idea, irremovibile proprio nel momento in cui la meta sembra massimamente allontanarsi: 130

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