gio per mare»1 • È la stessa formazione di Cuore di tenebra, del resto posteriore di appena un anno: stesso narratore, stessi ascoltatori. E già qui in Youth, come nel tardo Chance, del 1914, dove pure è in coppia con Marlow, questo «io» misterioso, anonimo, pronto a passare la parola al suo più loquace compagno. Senza questa zavorra, però, sembra che il racconto non possa prendere il largo, né riguadagnare il suo porto d'imbarco. L'apertura e la chiusura infatti sono sue, dell'«io»; poche notazioni generiche, di maniera, quali ben s'addicono a uno che non ha nome. Sua è la costituzione iniziale di luogo: «non poteva capitare che in Inghilterra [...] eravamo seduti attorno a un tavolo di mogano che rifletteva la bottiglia, i bicchieri per il vino di Bordeaux, e i nostri volti [...] tra noi cinque c'era il forte legame del mare, e del mestiere, quale nemmeno la più grande passione per la vela o per la navigazione può dare, giacché l'una è solo lo svago della vita, l'altro la vita stessa» (p, 9). Suo è il fading finale: ancora «il tavolo lucido, che, come uno specchio tranquillo d'acqua marrone, rifletteva i nostri volti segnati, rugosi[...] i nostri occhi stanchi che ancora ansiosamente cercavano qualcosa dalla vita - che mentre la si aspetta già se n'è andata, è passata via non vista, in un sospiro, in un lampo» (p.39). Sicché all'inizio e alla fine questo testimone muto, prigioniero del racconto di Marlow, interviene come l'esperto di ciò che chiama «vita». Si avverte come un disagio: è il suo «io» senza parola, dopo tutto, a contenere quello di Marlow, che occupa tutto lo spazio. Non viceversa. C'è dunque qualcosa, della vita, un sapere che è in essa, posto dalla parte dell'insignificante, dell'insignificabile: di ciò che di sé non manda segno. Una piccola zona opaca, oltre la quale Marlow, che in quell'opacità esiste, è libero di raccontare la sua storia. «Sapete bene», subito incomincia, «come ci siano di quei viaggi per mare che sembrano destinati ad essere 124
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