Il piccolo Hans - anno XVI - n. 61 - primavera 1989

ingannassero proprio per l'articolazione. Tutti gli altri testimoni riconobbero una lingua senza saperla; c'era dunque un tratto costante e decisivo nel controverso riconoscimento, e non poteva essere che l'articolazione. Sulla base delle testimonianze recensite Dupin avrebbe dovuto elaborare un'ipotesi più graduata e non stringere subito l'investigazione in una logica binaria: l'insieme delle varianti opposto alla voce articolata; la lingua di un pazzo opposta al grido di un «animale bruto». È da escludere che potesse anticipare il metodo Bédier, attenendosi al miglior testimone, che in questo caso (contrariamente a quanto di solito accade in ecdotica) è facile da individuare: è senz'altro l'olandese. La probabilità di questa scelta, e di altre non meno ragionevoli nell'errore, non è ammessa dalla logica del racconto, per la quale Dupin col suo metodo arriverà infallibilmente al suo Urang Utang. L'inderogabilità di questa logica rende assolutamente sicuro l'indizio delle voci, ed esatta la funzione di Dupin che lo stabilisce, funzione che, come sappiamo, va intesa e valutata dal punto di vista del suo significato per lo svolgimento della vicenda35 • Così continuiamo a verificare quella cadenza binaria: qui è sottratta per via artistica alla possibilità d'errore e conduce fino all'identificazione della voce originale. Ma proprio la coerenza indimostrabile e l'acume della fabula significano che questa possibilità è ben reale per la ricerca filologica. La soluzione radicale di Bédier presuppone - sia scetticismo o realismo - l'inemendabilità sostanziale della tradizione di un testo. Consiste infatti nel contrapporre - tolti gli 'errori evidenti' - la certezza della documentazione all'opinabilità della ricostruzione del testo secondo la 'volontà dell'autore'. Bédier ritiene che questa volontà continuamente evocata sia, in molti casi, una finzione, dietro la quale si nasconde la volontà del filologo; trova 94

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