Quello che non si vede (o si vede meno) però è il lavoro del restauro. I manuali della prima specie - rammentata con la Textkritik del Maas e con la «sintesi essenziale»14 del Rajna- ne occultano le materie e la peculiare versatilità nell'ordine lineare delle procedure e delle tecniche, nell'uniformità e nella successione graduata degli schemi e degli esempi. Nelle trattazioni generali e problematiche - in questa seconda e nuova specie di manuali - l'esperienza di lavoro - di tutto il lavoro, anche del restauro -è continuamente postulata e asserita, ma non è presente se non nella forma dell'ipotesi e della dimostrazione, che astrae dalla particolarità e dalla vicissitudine, e assume alcuni elementi e oggetti per accertare un passaggio storico della filologia testuale o per stabilire un orientamento della progettazione, una linea teorica. Noi sappiamo invece che dovremmo tenere costantemente sott'occhio il lavoro, e che la difficoltà, il problema, le tecniche e le soluzioni plausibili si decidono ogni volta all'incontro con un oggetto. La nostra ricerca dovrebbe svolgersi rigorosamente e fino in fondo tra materie da vagliare e testi o frammenti da ricostruire. Anche noi siamo applicati a studiare una logica; ma è quella di un lavoro in esecuzione, ha una scansione plurale, elabora, una dopo l'altra, un caso dopo l'altro, innumerevoli risposte, diverse e concordanti, al quesito se si debba restaurare e come e che cosa si restaura. Il luogo del discorso che segue - e che non s'addice all'oratore, perché è (o dovrebbe essere) scritto con «prosaica sobrietà» e, come forse si noterà e come Benjamin può insegnare, s'arresta e ricomincia da capo «ad ogni frase»15 - è il laboratorio; dove si ricompone continuamente il nesso di teoria e pratica, tra un'ipotesi e un'altra, indotta dall'applicazione e dalla verifica della prima e da una successiva esperienza. Nel laboratorio oggi, secondo Contini, si preserva l'umanesimo, che è quanto dire la libertà: la quale, «più nettamente ne sono segnati i limiti, più ra85
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