Il piccolo Hans - anno XVI - n. 61 - primavera 1989

ti in nuove costruzioni, come i resti antichi negli edifici medioevali, non per rimetterli in vita nel loro autonomo splendore, bensì per renderli funzionali e strumentali al nuovo edificio. È emblematica, in questo senso, la posizione di Aristotele. Egli riteneva che, per risolvere problemi o spiegare fenomeni, fosse necessario partire dalle opinioni correnti, soprattutto da quelle formulate dai più competenti o ritenuti tali. Gli scritti della tradizione gli apparivano colmi di contenuti, che potevano servire come punti di partenza per tracciare itinerari che andavano oltre questi scritti. Ogni testo poteva allora costituirsi partendo da altri testi, sicché il sapere poteva essere concepito come un patrimonio accrescibile, frutto di un lavoro collettivo nel quale si trovavano coinvolti, in una relazione inscindibile, presente e passato. Ma questa relazione non era simmetrica, perché il passato veniva inglobato e riformulato nella terminologia filosofica del presente. Ciò introduceva selezioni e trasformazioni in quanto era detto nei testi del passato, i quali non costituivano oggetto d'interesse per sé. Del tutto estranea a questo orizzonte era l'idea di un restauro del passato nel suo volto autentico, perché il passato era fondamentalmente un deposito di materiali da costruzione. E allo stesso modo erano estranee le nozioni di fedeltà e, quindi, di restauro fedele, una nozione quest'ultima che sarebbe emersa con chiarezza solo con i filologi alessandrini. L'obiettivo di restauro di quanto è detto nei testi filosofici del passato ha, dunque, guidato soltanto alcuni momenti della vicenda storica della filosofia, nell'antichità stessa e poi nella sua rinascita, ma soprattutto a partire dall'Ottocento. In questi momenti il restauro sembra poggiare sul presupposto che quanto è dettò nei testi filosofici del passato, pur essendo meritevole di essere salvaguardato, non ha in sé il potere di garantire la sua persistenza. Nella celebre sezione del Fedro, dedicata alla questione della scrittura, Platone aveva sostenuto che un te175

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