con Raffaello quando dipinge la 'Crocefissione Mond' con i colori chiari dati con olio di noce o di papavero (che ingiallisce meno) e con gli scuri dati ad olio di lino, che con il tempo sarebbe ingiallito e li avrebbe resi ulteriormente profondi. La trascuratezza o l'uso di materiali impropri può derivare dal fatto che l'oggetto non era destinato a durare, come bozzetti fatti per studio, dove si usa l'azzurro cattivo che diventa poi grigio o bruno, dato che il vero bozzetto serviva per studiare gli effetti cromatici sul momento. Oppure si pensi ai tessili: il colore dei tessuti cambia moltissimo perché si altera con la luce, ·ma un tessuto era destinato ad oggetti che potevano durare una generazione, una generazione e mezzo. Nei dipinti che hanno avuto una buona conservazione questo avviene sempre in scala assai ridotta, almeno nella nostra cultura. In altre culture, come in quella cinese, dove i dipinti sono spesso realizzati su una seta che facilmente imbrunisce, vi sono certamente problemi diversi a cui corrispondono risposte diverse, che non so dare non avendo studiato quella cultura, quella civiltà. Viola. Insisto sul concetto dell'identità dell'opera nel tempo. Anche per la via del restauro si dimostra che questa identità, come quella di ogni essere e oggetto, postula il mutamento, e, se è riconoscibile o ricostruibile, lo è in momenti diversi della sua storia. È assurdo pretendere di fissarla una volta per tutte, in assoluto. Pensiamo al restauro come integrazione di lacune: accade spesso di riconoscere in queste integrazioni delle vere e proprie deformazioni. Allora ci si domanda se non sia più giusta, più rispettosa dell'identità dell'opera, la preoccupazione di conservarla, sì, di difenderla dagli attacchi del tempo - come si difende ogni essere, come ci difendiamo noi stessi - ma senza cancellare i segni che questo vi lascia, senza eliminare la traccia che l'opera porta in sé della propria storia. Anche in questa traccia - anche in certi guasti 139
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