Il piccolo Hans - anno XVI - n. 61 - primavera 1989

Il tempo pittore (a colloquio con Afessandro Conti) Italo Viola. Nel tuo saggio introduttivo al volume Sul restauro, muovi da un giudizio di Cesare Brandi per enunciare gli argomenti e i metodi della discussione. Mi sembra una partenza buona anche per la nostra conversazione, e ti chiedo di tornare a pronunciarti su quel giudizio, che si può compendiare in queste frasi: è «fuori dell'arte e della storia» la dichiarazione che «lo scopo del restauro è di riportare i dipinti più vicino possibile allo stato in cui l'autore pensava che dovessero essere visti». Saremmo già di fronte a una scelta decisiva. Si può infatti pensare che discutere l' owietà di questa pretesa sia lo stesso che discutere la legittimità del restauro. Cesare Brandi lo fa in termini recisi (cito dal tuo libro): «Sembra ovvio, lapalissiano, inconfutabile, ed è, soprattutto nel campo della pittura, la pretesa più insidiosa che possa avanzarsi. Né un conservatore né un restauratore può pretendere tanto, appunto perché è una pretesa, un'indimostrabile pretesa quella di poter risalire ad un supposto aspetto originario di cui la sola testimonianza valida sarebbe l'opera allorché fu compiuta, ossia senza il trapasso nel tempo, ossia un'assurdità storica». Alessandro Conti. Credo che l'affermazione di Brandi 129

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