Il piccolo Hans - anno XV - n. 58 - estate 1988

profonda disperazione». L'io interiore di cui parla Auerbach, la triste miseria che salta direttamente nel sublime, assume in Hopkins un carattere particolare. Intanto sottolineiamo tutta l'importanza che Hopkins stesso dà a quanto c'è di originale e di irripetibile nel suo «io». In The Principle or Foundation, commenti sugli Esercizi Spirituali di S. Ignazio di Loyola, del 1880, si legge: Quando io contemplo il mio proprio essere, la coscienza e il sentimento di me, quel sapore di me, di un io e di un me al di sopra e dentro le cose, qualcosa che è più distintivo del sapore della birra o dell'allume, più distintivo del sapore della foglia di noce o dell'essenza di canfora ... nulla può spiegarlo, nulla gli assomiglia, eccetto il fatto che gli altri uomini provano il medesimo sentimento... indagando la natura io assaporo l'essere, ma in un'unica coppa, quella del mio stesso esserci.s Oppure ancora: Una parte di questo mondo di oggetti, di questo mondo-oggetto, è anche parte del proprio essere, come ad esempio del corpo, nel caso dell'uomo, con cui egli non solo sente ed agisce, ma anche si sente e con sé interagisce. Oppure: Io guardo attraverso l'occhio, la finestra e l'aria; l'occhio è il mio occhio, di me, e una parte di me... Un io consisterà dunque di un centro e di un'area circostante, di un punto di riferimento e di un campo di appartenenza.6 Si tratta di osservazioni di straordinaria lucidità e modernità, dove alla funzione soggettiva è data una centrali28

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