all'asse verticale, valorizzato, questo, dalla ripetizione del numero romano XIII, ugualmente centrato in alto sul tarocco e nel punto della numerazione delle tavole (a questo proposito, può dispiacere notare la posizione decentrata del numero nella seconda parte del testo, a meno di non vedervi un segno d'avvertimento: come se il testo ci avvertisse che non tutto è conforme, in uguale maniera, alle regole che vi si possono scoprire). Compiendo questo ottavo di giro, il lettore si rende conto che il cranio dello scheletro è, di fatto, una firma-quella, naturalmente, del firmatario del testo. La testa di morto, dunque, finisce per non essere più rivolta verso terra, ma ci guarda dalle sue orbite vuote, rivelando in tal modo la sua natura di cosa seritta. In un secondo tempo, e per poco che ci si ricordi del modello usato, la lettura è in grado di moltiplicare i frammenti scritturali nel cuore o intorno all'immagine. In effetti, una delle trasformazioni più vistose effettuate sull'antico tarocco di Marsiglia (vedi fig. 2) è proprio la metamorfosi dello scheletro in corpo scritto (il grafismo un po' rudimentale, che è la seconda grande caratteristica del disegno di Roche, non è imperizia, ma volontà di aumentare la leggibilità delle forme truccate, senza che queste diventino, nel contempo, antirealistiche). La colonna vertebrale, per esempio, si tramuta in una catena di X da leggersi sia, in una lettura frontale, come segni d'addizione, sia ruotando la pagina, come simboli di moltiplicazione. Ma v'è di più e riguarda direttamente il nome del firmatario. Dopo aver scoperto Roche per interposto cranio, il lettore è ragionevolmente tentato di cercare altrove nuove occorrenze del nome. Le lettere che lo compongono, tuttavia, non si manifesteranno più tutte insieme, ma disseminate su tutta la tavola. Al contrario, l'ordine in cui esse si offrono sarà, in compenso, perfettamente lineare. La R? È la lettera ebraica, ma letta questa volta doppiamente al contrario, prima dal basso in alto, 192
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