Il piccolo Hans - anno XV - n. 58 - estate 1988

Il punto di sutura metaforico tra due diversità così pronunziate, quella di Rineri e quella di Stefano, sono le montagne, tra cui il secondo ha sempre vissuto, che il primo nel suo amore per esse, trae a simbolo di una «purezza» per lui irraggiungibile, effimera: Ma che cosa c'era sulla cima? La serenità, la sicurezza, la purezza, la certezza dell'effettuato: ma anche la solitudine, ma anche la fine, ma il necessario ritorno [il ritorno a] quell'orribile vuoto della sua terra, sotto la tetra veste della sua vita. Per il ragazzo, invece, per Stefano, le cime dei monti costituiscono il solo possibile termine di paragone per gli oggetti dei suoi sentimenti più forti: l'amore, l'amicizia, la devozione verso la madre: Nerina, Mario, la mamma erano arridenti divinità nel primo cielo dell'alba, e quando i culmini più alti fiammeggiano e c'è ancora nel settentrione una stella; erano le forme d'umanità popolanti la terra inventata delle speranze e dei sogni quando la luce lascia le valli e le cime si fanno di viola. «Quell'anima - dirà di lui Marco nel racconto - aveva visto dei monti contro il sereno: un sito gelido e terso camminato da uomini che recano dentro una fiamma e per lei non sentono il taglio del vento [...]. E sul monte e al di là, dov'è cielo, via con lo sguardo profondo, a cercare le lontananze e a perdersi». E, proprio contro quell'anima - guai ai puri! - si accanirà il caso: «quand'esso azzanna sopra di uno, è peggio che una belva in furore; vide contro il povero, contro il buono, il ghignare assassino di quegli altri, più forti e così privi di scrupoli». Vengono qui, nel racconto, ripresi temi, immagini e 119

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