Il piccolo Hans - anno XIV - n. 56 - inverno 1987

L'assoluto impersonale «La guerra si chiama guerra e chi non scappa lo sotterra». L'ha scritto un disertore; ma così sono in molti a pensarla, i più di quelli che non sono scappati, e stanno al fronte o in campi di prigionia. Si mostrano tutti convinti - anche quando si dicono fiduciosi o sicuri di «portare a casa la ghirba», o parlano d'altro - che se non verranno sotterrati sarà per caso. ,«La guerra è guerra», come il morbo - peste o colera o tifo che si chiami - è morbo, il diluvio - le acque che devastano anche le case o la grandine che brucia le campagne - è diluvio, la carestia è carestia. Come e perché è cominciato il flagello e quando finirà, non puoi saperlo, come non sai se e quando ti porterà via. È scoppiata la guerra: quasi nessuno mette un altro soggetto, che non sia la guerra stessa, al principio; sono rare le lettere che portano nome o indicazione d'altri soggetti: uomini, nazioni, interessi coalizzati, fazioni, governi. E tutte le altre insieme si annettono queste indicazioni, questi nomi giusti o storpiati di responsabili, come segnacoli e nomi della guerra stessa: sicuro, è scoppiata e imperversa; e ci sono uomini e «potenze» che ne portano la colpa, ma sono elementi del flagello stesso, e potrà anche finire.per opera loro, ma è come dire che sarà la guerra a finirla. Allora è inutile dare un volto e un nome a chi è responsabile e comanda: sono loro. Ecco, là guerra come potere, come comando e organizzazione nella strage, nella prigionia, e in ogni pericolo, è designata con questo pronome plurale - loro-, portato dallo stile popolare a cancellare ogni relazione col nome o coi nomi, perché questo stile può dare al pronome quasi valore di nome, e può chiamare, secondo i casi e fuori di sintassi e di contesto, lui il morbo o il «convulso», lei la miseria, la fame, la morte, loro, dunque, gli uomini e i poteri della guerra. Questo loro è un pronome personale di nessuna persona: e non c'è 47

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==