Il piccolo Hans - anno XIV - n. 55 - autunno 1987

Arguzia e lavoro onirico nel nonsense Una delle caratteristiche più appariscenti del nonsense è l'alto grado di improbabilità con la quale vengono associati gli elementi che lo costituiscono, ed è quanto è stato costantemente messo in evidenza da tutti coloro che se ne sono occupati, da Chesterton1 fino a Derek Hudson,2 da Martin Gardner, il primo a pensare di fornire un corredo critico di note a quelle associazioni,3 fino a Carlo Izzo che ha riprodotto quella improbabilità con associazioni «italiane» nella sua traduzione dei limerick di Edward Lear,4 a Jean Gattegno, che ha tentato di tracciarvi un collegameno con la biografia dell'autore, 5 a Edward Guiliano, 6 a Francis Huxley,7 solo per citare alcuni della foltissima schiera dei critici, che sono soprattutto carrolliani. Il problema maggiore consiste nell'individuare il metodo che governa l'evidente follia, nel portare alla luce quell'occulto meccanismo che sembra governare fuori del testo ciò che appare nel testo. Si invoca il nome della logica, si è tentati dalle trattazioni teoriche, ma l'unica cosa che si sa per certo è che il nonsense esclude ogni teoria della razionalità. Elizabeth Sewell, che è stata la prima a condurre uno studio sistematico sul nonsense e a proporre una sua teoria,8 era una studiosa di teologia, e in due passi importanti della sua analisi, si serve dei modelli della Scolastica e di San Tommaso d'Aquino. La teoria della Sewell si basa su una separazione netta tra poesia e nonsense, come 171

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