Il piccolo Hans - anno XIV - n. 55 - autunno 1987

gré mal gré, a parlare un linguaggio meticcio fra letteratura e psicoanalisi, col rischio possibile, per non dire probabile, di sbagliare in entrambi i campi. Torno· per un momento a She, e mi meraviglio di non avere subito raccolto la sua natura psicotica - non parlo semplicemente di alcune figure come la pentola rovente messa in capo agli stranieri o la decomposizione finale di Àyesha. Il desiderio insopprimibile che percorre il racconto non è, a ben guardare, quello d'amore o di immortalità; è un desiderio di sapere. Ai discendenti di Callicrate, per generazioni, è stato affidato il compito di rintracciare Ayesha e di sciogliere l'enigma che la riguarda; e Ayesha stessa è la portatrice di una scienza biologica e preternaturale, che ella è impaziente di comunicare all'amato reincarnato. Tale desiderio, il lettore non può né addossarselo né rifiutarlo. Egli è stato preso, come si diceva, in uno scenario a entrate multiple, a ruoli inappropriabili. Però, alla luce di tale desiderio, riesce ad accorgersi che She è anche, per quanto rudimentale e «assurda», la costruzione di una teoria: teoria di ciò che sia nascita e morte, di ciò che sta di là dalla nascita e dalla morte, della permanenza del soggetto nelle mutazioni. Il desiderio di essere una teoria può darsi che si trovi al fondo di qualsiasi romanzo. Al quale, in considerazione di tale pulsione a teorizzare, si potrà riconoscere un'ipoteca (felicemente) paranoica. Il rimando fra romanzo e teoria si salda attraverso quell'elemento che restava discretamente (ma decisivamente) in parentesi nel grafico prima abbozzato: finzione. La lettura (la memoria, il sogno) di un romanzo non è mai senza conseguenze. E infine: il titolo di She, la teoria, la finzione s'inscrivono nel campo della femminilità. Giuliano Gramigna 169

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