Il piccolo Hans - anno XIV - n. 54 - estate 1987

E così, a cuore aperto, la parola di Milton, a lui recata dalla musa nella notte, ci giunge: «albero carico dei frutti più belli, insieme il frutto e il fiore». E questa simultaneità - il frutto e il fiore - chi può scorgerla, se non chi, come il poeta, come Satana, già sa che il fiore deve cadere per dar luogo al frutto? A chi non conosce il tempo, e il mutare delle stagioni, il frutto insieme al fiore non appare miracolo. Milton stabilizza questo livello linguistico, che riesce a tener dentro di sé, in simultaneità, il passato e il futuro, attraverso il riferimento all'antico: nella particolare prospettiva temporale nella quale lo fa apparire. Il mito, classico o biblico, è il passato: ciò che sempre ci precede. Dunque unpre. Ma per la scena di Eva e Adamo esso è un futuro, un post. E Milton impetra dalla sua musa uno sguardo, un ascolto, che gli apre contemporaneamente, preposterously, i due vettori del tempo: il passato e il futuro. Così il mito appare insieme come il prima rispetto alla Grecia, dunque un passato immemorabile, e come un futuro già memorabile dal giardino di Dio: «Eden stendeva il suo confine dall'Haran verso oriente, fino alle torri regali della grande Seleucia, erette dai re greci, o a Telassar, dove molto tempo prima dimorarono i figli dell'Eden.» Della lingua di Milton è cifra questo long before: un passato lontanissimo, tutto proiettato in una prospettiva di futuro. Ed anche il suo inglese intriso di latino dice questo: una perfezione - perché il latino è la lingua della ragione, la grammatica - pur dopo il peccato e la cacciata, cui dal paradiso già si guarda. Ma anche una perfezione, al tramontare definitivo dell'umanesimo, già perduta. In questo senso tutto il poema è quel rovesciamento di linguaggio, o metalepsis, di cui dice HaroldBloom, e l'unica operazione «forte», fuori cioè dell'angoscia dell'influenza, compiuta sul testo miltonico è quella di Blake, che fa confluire in Urizen le due linee genealogiche del 76

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