Il piccolo Hans - anno XIV - n. 54 - estate 1987

«Il Paradiso qui» per Irma Marimpietri La domanda che muove queste mie riflessioni vuole mettere in rapporto il testo poetico con la rappresentazione della felicità. Felicità terrestre, da una parte - Eden, giardino di delizie, età dell'oro, stato politico ideale - e, dall'altra, il testo come portatore di quella rappresentazione. Un punto si intravede all'orizzonte della scena del paradiso in cui il motivo del lontano, e perduto, e perfetto, o, ancor meglio, della felicità goduta senza remissione nel momento presente, trapassa come più all'interno, nella cellula germinale stessa del testo: che è portato allora ad interrogarsi sulla propria capacità di inscenare, di essere, quel lontano e perduto e perfetto. È su quel limite della rappresentazione che vorrei arrivare a fissare lo sguardo; su quella divaricazione, ché tale a me appare, tra il testo - l'autoconsapevolezza che esso esibisce della propria virtù testuale - e il suo portato. Nel paradiso dell'origine, modello a tutti quelli successivi, il mito ha proiettato la fantasia di un esistere esente da difetto, immune da morte. Libero dal desiderio e dalla schiavitù della mancanza. Rispetto a ogni altro possibile luogo di utopia, quello paradisiaco si è assicurato il vantaggio della priorità; giocando d'anticipo, si è posto come mondo creato perfetto fin dall'inizio, non razionalistico rovesciamento dell'esistente. È anzi il mondo dato, e quanto mai imperfetto, ad esser collocato dall'immagina57

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