Il piccolo Hans - anno XIV - n. 53 - primavera 1987

modo ancora molto parziale perchè rischia di venire collegata a un'idea di continuità, di continuo, che non ricopre affatto quella di non-terminabile. La verità è che ad essa, alla interminabilità, ci si può avvicinare soltanto di sbieco per dir così. Come riportandosi anche alla distinzione che Paul Ricoeur stabilisce fra «configuration» e «refiguration», rilevando che «une oeuvre peut ètre close quant à sa configuration et ouverte quant à la percée qu'elle est susceptible d'exercer dans le monde du lecteur»4 • La lettura si pone dunque come l'atto che consente di mettere in luce questa qualità fondamentale di un testo, la non-terminabilità. Gli accertamenti in materia si sovrappongono, senza che mai i loro confini coincidano perfettamente. Si potrà, nemmeno tanto paradossalmente aggiungere questo: che la forma in cui un testo fa apparire il taglio, la spaccatura nella quale idealmente s'iscrive il «continua», è il solo modo che abbia la scrittura di darsi una fine. 3. Ho appena parlato di necessità della scrittura. Mi sembra abbastanza illuminante prendere a prestito la definizione lacaniana della necessità - in rapporto con quelle di impossibilità e di contingenza. Essa si costituisce con la formula del «ne cesse pas de s'écrire», formula che promana dal «cesse de ne pas s'écrire» (contingenza) per semplice spostamento della negazione. Allora, perché non ipotizzare che il testo poetico inizi nel segno della contingenza, quando smette il «non scriversi»? Però questa contingenza è interna a una necessità, al «ne cesse pas de s'écrire» della scrittura, che contiene tutti i poemi storici: li contiene, intendo, non come la contingenza dantesca «tutta dipinta nel cospetto eterno», ma come lavoro interminabile, aggiornato di continuo. 195

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