Il piccolo Hans - anno XIV - n. 53 - primavera 1987

dezze». Bottiglie, cattivo champagne, mangiar molto, cibo abbondante, vino, formaggio, costole di manzo, «bevo troppo vino e caffè», «tre uccelletti a testa, oltre polenta, salame, ecc. », «ciascun pasto si compone di un piatto di riso o pasta, di un piatto di carne e verdura, di formaggio, frutta caffè e 1 fiaschetto di vino. Naturalmente non tocco il formaggio». E questo non è che un campione tratto dalle prime, poche pagine. È stato variamente rilevato il ruolo che il cibo assume in tutta l'opera di Gadda, e, con il cibo, aggiungiamo, la sua ingestione, digestione, e, in modo particolare, evacuazione. Si tratta di un tema ricorrente, la cui funzione specifica appare costantemente quella di una sottolineatura degli aspetti più meramente fisiologici, «bassi» della condizione umana in genere, e di quella autobiografica in specie. Il cibo, e il suo ciclo, appaiono in Gadda come una generalizzante metafora di quanto di animale, o addirittura di «bestiale» inerisce alla nostra corporeità; in opposizione alle virtù e qualità dello «spirito» (e si potrebbe quasi dire «dell'anima»). Se perciò le insistite descrizioni in proposito nell'opera gaddiana possono a prima vista dare l'impressione di una esplicita componente «macheronica», o «rabelaisiana» (che pure esiste), in realtà è piuttosto nel quadro di una contrapposizione alto/basso, spirituale/terrestre che esse si collocano e si caratterizzano nell'opera dello scrittore. Una immediata controprova - per rimanere sempre nell'area temporale entro cui si colloca la «Impossibilità» - si ha nello scritto «Tendo al mio fine», che, apparso sulla rivista «Solaria » nel fascicolo del dicembre 1931 fu ristampato da Gadda ad apertura del Castello di Udine. Qui, in una tensione esasperata e grottesca, la metafora del cibo assume un rilievo, potremmo dire, programmatico: Sarò il poeta del bene e della virtù, e il famiglio 183

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