Il piccolo Hans - anno XIV - n. 53 - primavera 1987

non porta alcun indizio o presentimento della morte vicina: ma Ferrante, dopo aver scritto questo libro, in quei pochi anni deve averla vista più volte in faccia la morte. Ed è ancora il Corriera a dar luce - appena un barlume - alla sua figura che s'allontana da Venezia, torna alla sua casa, s'aggira per quelle terre di Piacenza e Parma e si convince all'ultimo viaggio: nelle lettere della confidenza penosa o frenetica, non c'è soggetto che non si consegni anima e corpo alla propria smania o al proprio incubo, magari cominciando o chiudendo col dire che si tratta di cosa passata, che se n'è liberato, «sviluppato». Viene sempre da pensare che l'inganno di quel Charles Morfy fosse troppo facile, che non ci volesse niente a scoprirlo. Ma a Ferrante sembrò d'aver trovato un amico: credette subito a quell'emissario dei Barberini, il cui vero nome era Charles de la Bresche (e che, se sono attendibili certi racconti di fonte francese, due anni dopo questa sua scellerata impresa, finì pugnalato da un sicario dei Pallavicino). Come poté ascoltarlo mentre gli proponeva d'andare in Francia con lui? Come non fiutare il falso nelle lettere d'invito del Richelieu che quello gli mostrava? Vediamo un uomo che si consegna: siamo quasi costretti a pensare che Ferrante cerchi di essere ingannato, in un momento, un atto indecifrabile, forse del tutto ignaro, di resa o di sfida. Ecco che si mette in viaggio con quell'assurdo amico; in Francia non s'avvede che il de la Bresche lo porta sulla strada del territorio pontificio di Avignone («si lascia condurre», dice il Brusoni). Catturato, in quella valigia che gli sequestrano ha un bel po' di manoscritti che non verranno mai dati alle stampe e che passano alla leggenda con titoli fantasiosi come La bucata universale, I ragionamenti dei beati, Le lettere delle bestie28 • Ma il libro di Ferrante è il Corriera svaligiato. Vi abbiamo visto, non un'allegorica facies hippocratica della storia, ma qualcosa che sembrava la sua fine: il 164

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