Il piccolo Hans - anno XIV - n. 53 - primavera 1987

Disseminandosi sull'intero scacchiere delle pratiche scientifiche, innervando il grafo dei saperi, l'euresi non segnala la ricorrenza di un metodo ma la sua ubiquitaria inosservanza - almeno appunto nel «periodo di 'creazione', di 'euresis'» (203), in cui si è costretti a brancolare per «accenni, abbozzi, cominciamenti, tentativi». Solo allorché «l'euresi consolidi i suoi risultamenti, penosamente ottenuti, in un automaton» (274), accade che essa si codifichi in «metodo cioè euresi consolidata in cànone» (284): l'«afairesis» si converte allora nel suo antonimo, nell'«apodeixis». Il passo incerto, congetturale, a tentoni, si cancella nella linearità del dettato dimostrativo. Routinizzazione o cristallizzazione che dà appunto luogo al «metodo», sistemazione finita del già noto o conseguito. La valenza ametodica dell'euresi appare di conseguenza funzione della sua articolazione infinitaria: l'infinito analitico (differenziale) dei conati, delle «deformazioni», delle pulsazioni euristiche, cui corrisponde il non-finito di un tendere, di un evolvere, di un aberrare da ciò che è già acquisito: «l'euresi o tentare o tendere o associarsi in n+ l... » (227). «Possiamo perciò concepire il metodo - commenta Gadda - soltanto come breviario o epitome, criticamente raggiunto dopo tentativi euristici infiniti» (281), dopo le «infinite posizioni dell'euresi» (283). Leggiamo in tal senso nell'Adalgisa: La onorevole discorsività degli atti finiti, dei bei pensieri distesi come mutande ad asciugare al sole, non è se non ordinaria pratica, non è creazione, non è euresi, ma godimento, ripetizione e profitto. (A 240) Censurando le dinamiche approssimative ed imperfette dell'euresi, il metodo le traduce in una catena di sequenze analitiche ben formate, in linguaggio strutturato. Stenografia concettuale che ne sopprime le asperità, che scioglie l'intensità drammatica del concepimento 120

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