Il piccolo Hans - anno XIII - n. 51/52 - lug./dic. 1986

densi di tratti marcati in senso lirico o narrativo, e di vere e proprie prove di versificazione e di variante a testi compiuti. E tutto questo materiale trova un suo centro discorsuale preciso, e di pertinenza squisitamente poetica, nella trascrittura dell'inscape. Sulla rappresentazione di questa esperienza percettiva ed estetica il testo insiste, e «resiste·», ad una lettura scorrevole, ad una traduzione scorrevole, per rivelarsi luogo di sperimentazione e progettazione poetica. E tale è il baratro, prodottosi ad effetto di un poderoso intervento del poeta, tra la sua lingua e la virtuale langue di riferimento, che, dei tratti e dei confini di quest'ultima il traduttore non sempre può servirsi. Si tratta per Hopkins di un lavoro radicale, a tratti disperato, di riaggiustamento lessicale, in senso «archeologico» più che rigorosamente filologico - alle radici di idiomi perduti, come l'Old English, e di parentele cancellate, o automatizzate, e comunque sottratte per sempre alla rivitalizzazione e alla proliferazione all'interno del tessuto linguistico - e poi di moltiplicazione, di specializzazione, di invenzione; e sullo sfondo, a contenere il tutto, una struttura fono-sintattica non di rado stravolta, ove l.e marche del codice sono fatte saltare, e suoni e parole e frasi servono un progetto espressivo che sfida i vincoli sintagmatici (e addirittura fisiofonetici) prestabiliti. Dinnanzi a questo sofisticato ibrido, sovente irrisolubile anche alla semplice lettura in lingua, al traduttore si impongono precise scelte, innanzitutto proprio sul ruolo da attribuire alla «oscurità» legata a presunte devianze dal codice, e sulla sua trasposizione. Precisiamo al proposito che la nostra operazione ha privilegiato, su altri, un crite-. rio di leggibilità: da ciò, il relativo scioglimento degli intrichi sintattici (salvo casi marcati di agrammatismo espressivo, ad esempio, «the river-flat below» la piatta del fiume, «the burning clear» l'ardente chiaro della luce, ecc.), e l'inevitabile perdita di certi hopkinsiani «miracoli» di concentrazione fonica e verbale (come nel caso di «the short smo66

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