Il piccolo Hans - anno XIII - n. 51/52 - lug./dic. 1986

capace di riconsegnarla alla rappresentazione nella sua molteplicità. Con l'occhio di Ruskin e la ritrovata capacità di usare le parole come pigmenti, il poeta insegue paesaggi naturali è verbali, facendone brillare la grana, «the rearest véined», fino al palpito minimale della materia e della lettera. Tradurre un poeta «Queste parole sono inefficaci e metaforiche. Quasi tutte le parole sono così. Niente da fare!» (P.B. Shelley) Il poeta stesso è sempre un traduttore suo malgrado - lo suggerisce Shelley e lo ripeterà, tra gli altri, la Cvetaeva («Scrivere una poesia vuol già dire tradurre, da una lingua «materna» ad un'altra, francese, tedesco, ecc.»). E per il poeta, la scommessa quotidiana sulla rappresentazione si fa più rischiosa: più forte è per lui· la probabilità (o la tentazione) di mancare all'appuntamento con il proprio oggetto, o C0'.1. il lettore, o con entrambi. Resta comunque la realtà e la garanzia delle langues, i «contratti» verbali e culturali di riferimento, per il poeta, per il lettore, e per il traduttore, che si accinge, nelle parole del linguista, alla «interpretazione dei segni verbali di una data lingua attraverso i segni verbali di un'alt.ra» (Steiner, After Babel, 1964). _ A parte il saggio giovanile, in forma di lucido dialogo, i brani che qui proponiamo in traduzione sono generalmente definiti dai curatori inglesi «prose»; ma assai incerti sono i confini del genere, trattandosi di estratti di diario - quindi scritti estemporanei o occasionali, riflessioni personali frammiste a note critiche e filologiche - ma ugualmente 65

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==