Il piccolo Hans - anno XIII - n. 51/52 - lug./dic. 1986

dai predecessori Romantici. Wordsworth, raccontava la sorella Dorothy, aveva i «suoi alberi» ma essi non erano che tessere di una mappa personalissima (dalla camera da letto di casa, .alla stanza a Cambridge), o, più tardi, mere riduzioni filosofiche, materia resistente da abbracciare «to be sure that there was anything outside (me)». Mentre l'albero di Hopkins si staglia netto; necessario dettaglio del cangiante geroglifico della natura (e di Dio); e distintamente albero, e distintamente· quercia, faggio, castagno, ecc., ed ogni esemplare è unico all'interno della sua specie: è quidditas ed è haecceitas, come diceva già anche Duns Scoto. All'individuo è concessa la facoltà di percepire la bellezza, «the rearest véined» e il segreto parametro della loro geometria d'alberi: «intimamente orgogliosi» essi stanno imperturbati dalle imperfezioni o dalle ubbie del soggetto, che semmai li potrà solo «mancare» - e basta davvero poco, confessa Hopkins in una lettera all'amico poeta Dixon, basta una «presenza» improvvisa, anche una cattiva digestione! - È una struggente tensione che prepara all'instress, la capacità dell'individuo di cogliere l'inscape, l'individualità delle cose (Cfr. il nostro: Incursioni naturali in forma di parola, in questo numero della rivista, p. 35). E mentre il respiro e la parola romantica si affievolivano di fronte ad un mondo di interiorità appannato ed indifferenziato ad opera delle stesse parole che lo dovrebbero descrivere: «Nel guardare mentre penso a quella luna che velata brilla attraverso il vetro imperlato di rugiada, mi sembra di star cercando, quasi chiedendo, un linguaggio simbolico per qualcosa che già esiste, e per sempre, dentro di me, piuttosto che osservando alcunché di nuovo». (Coleridge, The Notebooks, 180, annot. 2546) la natura di Hopkins irrompe sulla pagina, plurale, «pied», barbara, vorticante, reclamando e costruendo una lingua 64

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