Il piccolo Hans - anno XIII - n. 51/52 - lug./dic. 1986

sione, si ha al contrario la sensazione di entrare non invitati in un laboratorio privato, dove il poeta studia, seleziona, scarta, prova nuove miscele, anche grafiche, prima di trasferirle in strutture formali più complesse per esperimenti estetici più cospicui. Una sperimentazione comunque già ardua è questa del giovane Hopkins: una rifondazione del mondo dentro la materia, oltre i concetti e i dati automatizzati del codice. L'acutezza «abnorme» indispensabile a percepire la singolarità e l'essenza delle cose si traduce in una lingua «abnorme» per precisione e concentrazione, ove non c'è spazio per immagini fluttuanti o indeterminate, né per i tratti deboli e ridondanti che trattengono il discorso: da qui la messa a punto di un catalogo les�icale di iper-referenzialità, dal tutto al «dettaglio integrale»; e da qui la tecnica diffusa della contrazione letterale e grammaticale. Alla parola quotidiana, vaga ed usurata, od «oscurata dall'opinione sociale pluridiscorsiva»27 , Hopkins sostituisce il linguaggio specialistico delle scienze e della tecnologia - dall'Architettura delle lezioni ruskiniane, alla Botanica, alla Musica e alla Pittura (sue grandi passioni), ai linguaggi settoriali ed artigianali che accuratamente nominano gli elementi del proprio mondo: allora una forma sarà più propriamente un'entasi, una cimasa, un'architrave alata, ogni pianta o fiore si chiamerà in modo scientificamente appropriato, e sarà possibile identificare prodotti e metodiche d'ogni provenienza, che si tratti dell'accordatura di un liuto, o della manifattura di un tessuto, o della progressiva lavorazione del grano. A ciò si aggiungerà la gamma espressiva degli idiomi arcaici e dialettali (il pattimonio linguistico dei testi sacri e classici, l'Old English, i numerosi dialetti regionali); e la sistematica produzione di neologismi in forma singolare o composta («I cannot do without them», confessava il poeta in una lettera ad un amico), per sopperire alla generalizzazione o ai «vuoti» della lingua. E qui Hopkins, per precisione descrittiva, volgerà sempre più rigorosamente, ossessivamente, alla ricerca della «pa51

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