Il piccolo Hans - anno XIII - n. 51/52 - lug./dic. 1986

l'immagine dei sovrani in Las Meninas di Velazquez, dove Foucault cerca l'infinito rapporto che lega linguaggio e pittura25 • Qui è al buio che l'immagine si riflette, e dietro di lei nessuno spazio si irradia, null'altro da vedere oltre al volto di chi parla, visibile solo a lui. Uno spazio stretto intorno a questo due, uno contro l'altro, due del sonetto della Sibilla (32) e due anche della semplice duplicazione, come nel sonetto 4 6, dove udiamo i nostri cuori stridere contro se stessi - We hear our hearts grate on themselves. Con gli ultimi versi del sonetto 69 siamo arrivati al quadro più segreto della condanna, al punto ultimo del dialogo dei sonetti «terribili», dove «io» viene sul palcoscenico di morte a mostrare questo, a ricevere, nella moderna landa, la ferita della lancia, come il re pescatore della W aste Land, la ferita che lo rende sterile, incapace di aggirare lo scoglio periglioso, il volto che pietrifica della Medusa. Incapace di procedere per via indiretta, su quel palcoscenico egli soffre la perdita dell'agibilità cartesiana del larvatus prodeo: egli è per noi il soggetto dell'enunciazione bloccato in giacenza, sospeso come il soggetto della lettera lacaniana en souffrance, inchiodato solo a gustare di se stesso, a farsi rappresentare come quell'«io» e quel riflesso: I am gall, I am heartburn. God's most deep decree Bitter would me taste: my taste was me; Bones built in me, flesh filled, blood brimmed the curse. Selfyeast of spirit a dull dough sours. I see The lost are like this, and their scourge to be As I am mine, their sweating selves; but worse. (45, versi 9- 14 )26 L'inferno è questo gustare di se stesso. Questo peso della parola che «io» deve prendere: in queste condizioni è anche una brevità fra il visibile e il parlato, la stessa brevi30

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