Il piccolo Hans - anno XIII - n. 51/52 - lug./dic. 1986

Le urla di questo «io» narrato dal poeta, e le urla della Furia aleggiano sopra l'incudine come un vapore, come un homunculus che si torce e scompare nella generale catastrofe, sotto i colpi della Furia: siamo allo spasmo. È questo l'inferno: la nostra vita di qui, l'inferno di Strindberg. E la catastrofe è che tutto continui come prima, come osserva Benjamin. E così quell'«io» che subisce la violenza della Furia vede sul proprio volto riflessa l'opera scomposta della morte che lavora con la febbre, mentre intorno, come Geremia, vede il mondo rifiorire e se stesso, irrimediabilmente, infecondo eunuco del tempo: ...See, banks and brakes, Now, leavèd how thick! lacèd they are again With fretty chervil, look, and fresh wind shakes Them; birds build - but not I build; no, but strain, Time's eunuch, and not breed one work ·that wakes. Mine, O thou lord of life, send my roots rain. (SO, versi 9-14)24 Un frammento non datato anticipa la situazione dell'ultima strofa del sonetto 69, e presenta una Speranza che rivolge a Cristo lo specchio della mente, ma l'immagine è sbiadita, e così lei si mette a strofinarlo, pulisce lo specchio in ogni sua parte e non smette fino allo sfinimento. Ora lo specchio assorbe là luce, ma dietro alla Speranza c'è solo buio, e ciò che lei riesce a vedere non è Lui, ma solo se stessa. I told you she turned her mirror dim Betweenwhiles, but she sees herself not Him. Una dolorosa brevità chiude lo spazio fra la figura e la sua immagine, fra il poeta e la sua maschera: il piccolo cucchiaio non è lo specchio in fondo alla stanza che riflette tutta la scena come un sole alle spalle degli Sposi Arnolfini di J. van Eyck, e neppure lo specchio che incornicia 29

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