Il piccolo Hans - anno XIII - n. 51/52 - lug./dic. 1986

With darksome devouring eyes my bruisèd bones? and fan, O in turn of tempest, me heaped there; me frantic to avoid thee and flee? (40, versi 5-8)". Wert thou my enemy, O thou my friend, How wouldst thou worse, I wonder, than thou dost Defeat, thwart me? (50, versi 5-7r6 Nell'orrore della lotta con il suo Dio, il gesuita scrupoloso e pio parla della crudeltà dell'affrontamento, della crudeltà del nemico come ne parlano in certe pagine Lautréamont o Baudelaire: in campo è un essere mostruoso e vampiresco, un essere che esce da un enorme crogiuolo, con tradizioni millenarie alle spalle condotte a un punto di rottura. Allora l'orrore del dialogo che il pensiero tiene senza risposta, senz;a riparo, diviene una forma del sublime, un modo di ripercorrere, nella sua ampiezza, la storia della lotta dell'uomo con il suo Dio. Quelle lettere morte ritornano nella vegli<1. della mente fissate nella divisione, mostrate al pensatore nell'immagine riflessa, in cui si vede, come se perfidi spiriti gli presentassero un metallo lustro nel quale scorgere il suo «io», pallido per le notti vegliate, e melanconico. Ma a differenza di Anselmo nel Vaso d'oro di Hoffmann, cui si riferisce questa immagine, Hopkins non esce, non incontra un archivista pronto a guidarlo, non dorme il sogno che restituirà d'incanto le pagine colme della bellezza di Serpentina. Hopkins è alle porte del moderno, serrato contro la superficie riflettente della pagina, chiuso in quell'insuperabile dodicesima veglia: a lui non si schiude la grande via romantica del sogno di Hoffmann, né può vincere la minaccia del tormento e della follia tenendosi all'al. tezza dei sogni, fedele alle loro visioni. Il salto fra invisibile e visibile non si colma, e Hopkins non dorme. Nella notte, nell'oscurarsi di tutto in «sovrumani silen23

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==