Il piccolo Hans - anno XIII - n. 51/52 - lug./dic. 1986

cui l'interdipendenza annulla la gerarchia? Sarebbe simile al mondo del Processo e del Castello, il che vorrebbe dire che questi romanzi sono una metafora del capitalismo, sadomasochista e burocratico? È noto come gli scrittori siano soltanto di rado dei buoni interpreti di se stessi; basterebbe questa riflessione per far assumere con cautela le parole di Kafka. Tanto più che esse contrastano con quanto viene asserito nelle righe seguenti: «la vera realtà è sempre non realistica» egli dice contro ogni visione mimetica. E in precedenza, a proposito del disegno di Grosz, aveva commentato: «Nella mente degli uomini l'allegoria diventa una copia della realtà, e ciò è, beninteso, errato». Guardiamoci dunque dal trasformare, sia pure in un senso generale e indicativo, i romanzi allegorici in documenti letterali o anche vagamente metaforici della realtà. Evitiamo l'errore del povero Janouch, il quale, nella Premessa ai Colloqui con Kafka, rievocando i propri terribili anni dell'immediato dopoguerra, dice: «Sperimentai l'angoscia mortale, la persecuzione e il carcere, la fame bestiale, il gelo e il sudiciume, la stupida volgarità burocratica, il caos come principio di un mondo organizzato apparentemente con intelligenza: il mondo crepuscolare di Kafka divenne una comunissima esperienza personale di tutti i giorni». (ibid., 1059). A noi preme tuttavia far osservare come questa semplificazione sociologizzante sia presente anche in studiosi che non ne ignorano il pericolo. Quando parlano della metafora, Deleuze e Guattari usano un tono aspro e risentito, vibrante di fastidio e teoricamente aggressivo, che ricorda un identico attacco alla metafora condotto, vent'anni prima, da Barthes in difesa dei romanzi di Robbe-Grillet (e da Robbe-Grillet stesso). Le analogie tra le due posizioni sono notevoli: Barthes sembra aver suggerito a Deleuze, con largo anticipo, anche l'esaltazione della superficie contro la profondità, che è uno dei temi principali di Logique du sens. Anche l'apologia di una letteratura che si «svuoterebbe» di significato a 165

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