ve l'una accanto, o meglio, addosso all'altra. La mancanza di discrezione8 non è solo una caratteristica di certi personaggi, - dall'aiutante che gli si infila nel letto al contadino il cui soffio K. sente sulla propria nuca (C, 590, S, 57) -, ma è una caratteristica formale in cui ritroviamo la logica confusiva, se è vero che la privacy è una sorta di identità. Ebbene, la goffaggine con cui il paradigma versa contemporaneamente addosso al soggetto le possibilità tra cui egli dovrebbe scegliere, può essere fonte di una irresistibile comicità. Può essere: perché il riso (comunque tipologizzato) sgorga dalla distanza, e non sempre Kafka ci permette di non identificarci con i suoi personaggi. Ma - nella loro sobrietà e intermittenza - la comicità o l'ironia del procedimento disgiuntivo/esaustivo valgono a suggerire che non si può trasformarlo in un principio dell'ontologia di Kafka. Anche quando descrive un regime confusivo, egli non autorizza a pensare che sia l'unico: se così fosse, non si potrebbe neppure descriverlo. La condizione della scrittura è per l'appunto l'esistenza di un personaggio che non si integra in quell'universo. L'ontologia di Kafka non è il regime confusivo (e' tantomeno il regime metonimico), bensì il problema della distanza necessaria per poter capire. Nei suoi racconti, si descrivono le disavventure di uno sguardo cieco, sempre troppo vicino o troppo lontano per poter interp1�re. Tale squilibrio esalta la mancatq coordinazione. Non potendo compiere che un'azione dopo l'altra o accanto all'altra, il soggetto metonimico è sempre «fuori tempo», in anticipo o in ritardo; inoltre, quando scorge una parte di realtà - e può scorgerne sempre soltanto una parte -, egli la dimentica nel momento stesso in cui vorrebbe colmare . la lacuna precedente. Questa memoria breve obbliga il personaggio kafkiano a commettere, in ogni situazione, almeno un errore. La coazione a non coordinare - una «nevrosi di destino» che condanna il soggetto a venir sempre colto 161
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