Il piccolo Hans - anno XIII - n. 51/52 - lug./dic. 1986

Non bisogna credere, però, che Kafka non fornisca mai una soluzione: piuttosto, la presenta con particolari accorgimenti che possono renderla invisibile. Il lettore rischia la cecità nella stessa misura del personaggio. La soluzione, ad esempio, può apparire dopo che la mente di quest'ultimo - e quella del lettore - sono così affaticate dall'accatastarsi di possibili interpretazioni che non hanno la forza di scorgerla. Nel Processo la fase rivelatrice è pronunciata dal sacerdote al momento di accomiatarsi: «Il tribunale non ti chiede nulla. Ti accoglie quando vieni, ti lascia andare quando vai» (P, 526). Non è la verità che avrebbe dovuto comprendere l'uomo di campagna? Non indica forse che la colpa - e la colpa effettivamente c'è - consiste nell'incapacità di assumere la buona distanza di fronte alla Porta della Legge? Analogamente, nel Castello, la chiave dell'interpretazione viene fornita dopo una quarantina di pagine: «Fra i contadini e il Castello non c'è nessuna differenza» (C, 572) dice il Maestro all'agrimensore K. Eppure, per tutto ii romanzo, questi crederà che il villaggio e il Castello siano in opposizione tra di loro, e che egli debba scegliere tra la dipendenza da un'autorità inaccessibile e l'integrazione in una comunità organica. Per tutto il romanzo, K. cercherà di raggiungere il Castello, senza mai capire che è già nel Castello. Egli resta subito paralizzato dall'enigmatica via che dovrebbe condurre verso di esso: «La strada ... non conduceva alla collina del Castello ma soltanto nelle vicinanze; poi, come deliberatamente, descriveva una curva e sebbene non si allontanasse dal Castello non gli si avvicinava 11.eppure» (C, 573). Dovrebbero essere chiari, adesso, i due errori tipici dei lettori di Kafka: vedere nel Processo e nel Castello le metafore della Giustizia e della Grazia divine, mai concessi all'uomo, e per meritare le quali l'uomo si affatica inutilmen159

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