Il piccolo Hans - anno XIII - n. 51/52 - lug./dic. 1986

linea, rizomatica e segmentaria. Da parte sua, Cacciari disfa un percorso che culmina nel vicolo cieco di una giustizia «troppo umana», e nello spazio del processo vede «il labirinto della necessaria, interminabile interpretazione» (1985, p. 133). Non si esce, com'è abitudine, da una scelta diadica. Una scelta spontanea, suggerita dal senso comu,ne, e che dovrebbe venir problematizzata più facilmente dal filosofo che non dal critico letterario. Ma, da un lato, la filosofia è lontana dal comprendere come il diadismo sia una delle risorse più efficaci e perenni della metafisica; d'altro lato, sono proprio i critici letterari, meno condizionati dalla preoccupazione di ricondurre Kafka in una spazio prestabilito, che si avvicinano di più ad un modello triadico, in cui si può vedere la soglia minima per la comprensione del1'opera di Kafka. Sperimentando tale modello, le possibili «qualità» di Josef K. diventano tre: egli è colpevole, oppure è innocente, oppure è due volte colpevole, è responsabile di due errori. Ad essi daremo, in prima istanza, i nomi del Reale e dell'Immaginario; alla presa di distanza nei loro riguardi, il nome del Simbolico. Ma, una volta avanzata quest'ipotesi, e prima ancora di giustificarla, è necessario qualche considerazione: (1) non si può ulteriormente rinviare l'opportunità di dare ai registri dei contenuti storicamente determinati. Perché il modello lacaniano non vuole avere un senso aprioristico, e legittima la sua universalità proprio quando lo si immerge nelle variabili della cultura, nel concreto tessuto storico di un'epoca; (2) l'idea di una duplice colpevolezza non è mai esplicita in Kafka. E questo perché la narrazione viene sempre condotta dal punto di v·ista del personaggio, senza che la voce dell'autore intervenga a giudicarlo o criticarlo. In che modo, allora, riconoscere il Simbolico? 151

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