Il piccolo Hans - anno XIII - n. 51/52 - lug./dic. 1986

che non l'altra lettura, lo scacco di un metodo unilaterale. Si farà riferimento per lo più ai testi di Deleuze-Guattari e di Cacciari, al fine di mostrare una solidarietà che, in assenza del modello retorico, non è affatto ovvia. Eppure il «luttuoso» Cacciari e i «gioiosi», dionisiaci Deleuze-Guattari sono accomunati da un'identica scelta: il privilegio di un'operazione figurale, cioè la contiguità, che viene estesa fino a diventare il principio filosofico e stilistico di Kafka. Secondo Deleuze e Guattari, ad esempio, lo spazio kafkiano si compone di segmenti che si moltiplicano l'uno fuori dall'altro in una proliferazione illimitata (secondo un principio di «accelerazione e proliferazione segmentale» (1975), trad. it. p. 93). Interminabili, sfuggenti a ogni nume-_ razione, sono i corridoi, gli uffici, gli avvocati, i carnefici, i funzionari. Interminabile è anche Il Processo, a cui i3rod averebbe imposto arbitrariamente una chiusura. Anzi, poiché per il filosofo metonimico ogni chiusura è una sconfitta, la verità di Kafka andrebbe cercata nella proposta di linee di fuga, lungo le quali il soggetto moltiplica e rilancia la sua salvezza, che consiste in un dinamismo incontenibile. Perciò il rinvio del processo non è qualcosa di negativo, come vorrebbe una lettura di Kafka in chiave filosofica dell'angoscia, di perdita del senso, e di trascendenza nostalgicamente mancata_: al contrario, questo meccanismo «è perfettamente positivo e attivo» (ibid., p. 83). L'adozione enfatica del principio metonimico si chiarisce in rapporto al tema della Legge. Per il pensiero metafisico, che in Deleuze è pensiero metaforico, la Legge si definisce attraverso la presenza di un contenuto. Questa è anche l'opinione del senso comune, che, dipendendo dal Reale, riconosce alla legge e alla giustizia una struttura gerarchica. Superiorità dei principi più generali rispetto a quelli più particolari, dei funzionari più alti rispetto a quelli inferiori. Ed è ovvio, in questa prospettiva, che quando mùove un'accusa, la Legge tende a includere l'accusato nello spazio della propria enunciazione. «Io t'accuso» (o 146

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