lo confondono con Sordini, il vero esperto è quest'ultimo, e approfitta dell'analogia di nomi per rigettare su Sortini i doveri di rappresentanza e dedicarsi indisturbato ai suoi lavori»' (C, 776). Si direbbe che, in questo caso, l'attrazione per la somiglianza sia abbastanza forte per annullare il «principio di commutazione» dei linguisti, che farebbe dell'opposizione tra i fonemi /t/ e /d/ una distinzione rilevante. Ma l'esempio introduce a una constatazione generale: il principio dell'articolazione si ritira dal testo di Kafka, oppure vi mantiene una presenza timida, sobria, e in ultima analisi deviante. Il suo affievolimento dischiude uno spazio di somiglianza diffusa, dove le contiguità si convertono in similarità e viceversa. Il che equivale a dire che metafora e metonimia funzioneranno secondo un regime confusivo. Questa coppia di termini non viene proposta qui in una accezione ridotta e decorativa; non si tratta di soffermarsi su ornamenti che il discorso potrebbe ritenere superflui, bensì il presentare categorie per le quali si enuncia un'operatività precisa e inedita. Metafora e metonimia saranno stili di pensiero, stili ermeneutici che si cercherà di riconoscere, oltre.che in Kafka, in alcune letture filosofiche della sua opera. Qualche precisazione: in primo luogo, se ci si limita a una coppia di categorie retoriche, non è perché si ignori il logorio del modello jakobsoniano/lacaniano a cui tale coppia deve un prestigio notevole. Si rinvia ad altra sede la proposta di un modello più articolato e flessibile, e soprattutto meno equivoco (un'anticipazione in Bottiroli 1984). Ma - è il caso di insistere su questo punto - per noi metafora e metonimia non sono figure di sostituzione, previste da una retorica ristretta (secondo l'espressione di Genette e poi di Ricoeur): sono stili, e dunque le operazioni minimali che li sottendono - somiglianza e contiguità - verranno estese fino a diventare principi organizzativi e cognitivi. Se ci limitiamo a questa coppia, è perché essa risulta già in 144
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