ne, Rep., 601 d; Pinzi, d), punto in cui la parola design riacquista il suo senso autentico, da problema estetico (dominante, per esempio, in un Arnheim) diviene un problema fondamentale del nostro ameublement psichico. Un tavolo, una sedia, _una brocca, (in ultima analisi gli elementi «discreti» e silenziosi che hanno sempre composto la sintassi della pittura) che non assolvono a questo compito hanno, se mi si consente il paragone certo rozzo, lo stesso carattere di «impedimento» del sintomo: qualcosa, un'andatura, una voce, un abito, un'opera, un pensiero, «non quadra», non è come dovrebbe. La pura razionalità, la sola efficienza funzionale ha qualcosa della ragionevolezza con cui il paranoico mette ordine a quel proliferare di immagini che nasconde la preclusione dell'immaginazione. Occorre allora un tratto che unisca, che faccia da ponte e eia presa tra i due mondi: il modo in cui la forma dell'ansa (der Henkel) armonizza in sé i due mondi: il mondo esterno, la cui esigenza giunge al vaso con l'ansa, e la forma artistica che, senza tener conto del mondo esterno, rivendica l'ansa per sé, sembra essere il criterio inconscio della sua efficacia estetica. Cioè non solo l'ansa deve poter esercitare effettivamente la funzione pratica, ma deve anche metterla in evidenza con la sua forma visibile (Erscheinung)... Questo processo non può attuarsi con un simbolo più perfetto di quello che si presenta quando la coppa si sviluppa dall'ansa come la foglia dallo stelo: è come se l'uomo utilizzasse i canali attraverso cui scorre naturalmente la linfa fra lo stelo e la foglia per far affluire il proprio impulso nella cosa esterna e inserirla nella propria vita. (Simmel, p. 76 e 78) Così il greco chiama la natura singola, senza limitazione alcuna (uomini, animali, cose), con la stessa parola che designa la facoltà che giunge a conoscere questa natura: «Areté» (Stenzel, p. 175). Areté, henkel, manico, manubrio: ciò che permette la presa armonica di un oggetto e la 127
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