Il piccolo Hans - anno XIII - n. 51/52 - lug./dic. 1986

un duro lavoro; eppure i sogni lo fanno». «La realtà non somiglia al quadro che è nella nostra mente, ma non si smette di ragionare su che cosa dovrebbe esserci, e discoprire ciò che manca». Su questi punti cfr. Finzi, e, pp. 6 sg.). Nel paesaggio stampato: i tratti psicotici della perversione Soffermiamoci .dunque sui caratteri del «paesaggio stampato». L'immobilità, l'atemporalità, il senso di estraneità e il silenzio non fanno che mettere meglio in risalto quella chiarezza visionaria che conferisce all'immagine un tratto irreale e posticcio. Poiché non si tratta di un'immagine fantastica, ma della sua negativa: ciò che Baudelaire chiamava, a proposito dell'impressione suscitatagl_i dalle opere di Ingres, fantasia imitata. Riconosciamo ad esempio in De Chirico un maestro di questi effetti (ma si pensi anche a Bèicklin, Klinger, Kubin: alla nettezza di quei paesaggi che stanno come oasi nello splendore del Mediterraneo): attraverso i suoi quadri siamo introdotti per le vie della città schreberiana. Città eminentemente falsa, immota, al di qua del tempo: città teatrale o cinecittà, unici sopravvissuti in mezzo a una popolazione di umanoidi, eppure con la continua angoscia che la vera catastrofe debba ancora venire. E la morte, la morte che siamo, è il punto di sguardo, il centro percettivo di tutta la realtà (gli innumerevoli autoritratti di De Chirico svolgono appunto una funzione difensiva). L'altro tratto distintivo del paesaggio è la conflagrazione violenta, senza gradazioni, sfumature o intervalli (si ricordi la natura del paesaggio «kafkiano») di oggetti, stili, materiali, colori (e penso a quell'assembramento di cose che yopolano la stanza «metafiscia», quella chambre aux souvenirs, un «corridoio basso», un solaio, in cui Gozzano vedeva addirittura il luogo della Gloria - così in De Chiri-· co tutta la dimensione «epocale» dell'uomo è assiepata nel 110

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==