qi futuro, del canzoniere danielino. Il temps braus che intreccia il proprio viluppo anguineo di venti de sobre claus rams de fueilla è parente stretto dell'«aur'amara» che «fa· ls broils brancuz/clausir»: claus è lo stesso termine-chiave (già: Amors es de Prez la claus) che denuda i rami di fogliame e congela il dettato in un messaggio petrificato e programmaticamente distante da qualunque grado di comprensibilità immediata. Di questa canzone Dante ha riprodotto l'elemento più vistoso in Lo doloroso amor, l'unica rima extravagante che nomini espressamente Beatrice: lo stile, non a caso, anticipa l'esperienza delle petrose e della sestina. La prima stanza termina con l'epigrafe «Per quella moro c'ha nome Beatrice»; la successiva inizia con «Quel dolce nome, che mi fa il cor agro», la rima è naturalmente con «magro» («e della doglia diverrò sì magro/de la persona»). È forse in virtù di un effetto di compenso che in Purg. XXV 22-4 «agro» fa rima con «Meleagro», comunque la citazione del mito, più circostanziata e scolastica nella sua aderenza al modello ovidiano, è qui funzionale ad esprimere la difficoltà che incontra il pellegrino terreno nel razionalizzare un aspetto particolare della purgazione («'Se t'ammentassi come Meleagro/si consumò al consumar d'un stizzo,/non fora' , disse .:'a te questo sì agro [...]'»). Anche il Petrarca potrebbe aver letto questa canzone di Arnaut: pur se la testimonianza non è altrettanto esplicita. Delle due occorrenze di «agro» nel canzoniere, una è privilegiata dall'esposizione in rima ma si riferisce, anziché alla donna, alla gloria (CCLXIV 55 «un pensier dolce et agro», in rima con «flagro» e «magro»). Fuori di rima, nella sestina CCCXXXII, il termine è assunto senz'altro come tecnicismo stilistico: «Già mi fu col desir sì dolce il pianto,/che condia di dolcezza ogni agro stile» è opposto al «pianger amaro più che morte» (vv. 19-33). L'equazione fra «agro» ed «aspro», attestata al v. 74 «e 'n aspro stile e 'n angosciose rime», mostra che anche Petrarca ha agganciato questo 187
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