Il piccolo Hans - anno XII - n. 47 - lug./set. 1985

fra i più memorabili - Une Mort héroi'que - venga da Baudelaire fissata in profondità la traccia di una possibile definizione generale dell'arte, - art, come è noto, coprendo in Baudelaire l'area vastissima che va dalla cosmesi attraverso le fantasmagorie dell'artificio (correttore del naturel) sino ai momenti supremi della creatività. Qui, l'ivresse artistica aÌlontana il terrore del gouffre, il genio (in senso leopardiano) si esibisce sulla soglia, « sui bordi » della morte, in parte velandola, in parte rimuovendola in un superamento dato dalla finzione attiva (poi passiva, estatica) di un « paradiso » tutto in funzione anti-mortifera: « L'ivresse de l'art est plus apte que toute autre à voiler les terreurs du gouffre (...) Le génie peut jouer la comédie au bord de la tombe avec une joie qui l'empeche de voir la tombe, perdu, comme il est, dans un paradis excluant toute idée de tombe et de destruction ». Ritorneremo più avanti su questo testo, e sulle sue circostanze, sottolineando subito però che tomba nominata per ben tre volte in uno stretto giro di frase, indica il luogo di caduta per eccellenza, il rischio di « tombare », il punto critico della deiezione, della vertigine negativa e catastrofica. Fin d'ora è anche chiaro che esso s'aggrega in un vasto campo immaginale d'esperienza possibile che ha forse il suo prototipo (il suo archetipo) nello slancio ascendente, di negazione della finitudine e di superamento, dell'anima platonica, che « perfetta e alata si libra nell'alto e governa l'universo intero » ', se non addirittura nell'« essere » parmenideo e nel suo trionfo sull'« esserci » 3 con riscontri massicci nella poesia moderna, da Lamartine e da Shelley a Tennyson, da Goethe a Baudelaire appunto a Rimbaud, a Jiménez, ecc. Restando in uno spaccato cronologico non troppo divaricato, impressionante può risultare la coincidenza fra quello che fin d'ora chiamiamo il trionfo maniacale di Baud_ elaire, nel poemetto citato, e una lunga notazione di Leopardi, nello Zibaldone: ove, adducendo come esempio proprio i Trionfi di Petrarca, il poeta imposta un discorso a 71

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