Il piccolo Hans - anno XII - n. 47 - lug./set. 1985

essere coinvolto più direttamente, obbligato a immaginare quello che non può leggere, costretto quasi ad inventare soluzioni personali o comunque interpretazioni più impegnative di quelle che normalmente vengono suscitate dalla lettura tradizionale di un libro, a fumetti e no. Dunque la mancanza di parole chiede una partecipazione più attiva. Il lettore abituato a ricevere passivamente le immagini (in questo senso la televisione ha la massima responsabilità nel ridurre al minimo il coinvolgimento personale dello spettatore), tende a rifiutare quello sforzo interpretativo o ne è addirittura infastidito e finisce col preferire qualche raccontino facile, possibilmente con lieto fine. Forse però non è giusto dare tutta la colpa alla disattenzione del lettore. Certo è che nel fumetto senza parole, l'autore è stimolato ad una maggiore cura del particolare, ad una più rigorosa scansione delle sequenze. Com'è difficile farsi sentire senza parlare! La conclusione deve essere dunque diversa (purtroppo!). Le parole sono necessarie. Non indispensabili, ma utili. Allora, ferma restando la massima attenzione al disegno, l'autore dovrà riservare una cura tutta speciale nel « disegnare » le parole. Ripensando al cinema sonoro (e al doppiaggio delle voci degli attori stranieri) ho concluso che sarebbe giusto « personalizzare » anche le parole pronunciate da un personaggio alla stessa maniera con cui si studiano i movimenti dei muscoli facciali per suggerire al lettore la mimica della persona che sta parlando. Una soluzione grafica molto stimolante potrebbe esse- . re l'invenzione di un carattere tipografico diverso per ognuno dei personaggi della storia. Fino ad oggi ci si è limitati ad apportare differenze nelle dimensioni del carattere: le parole pronunciate con particolare enfasi o gridate sono di solito più grandi, mentre le parole nei soliloqui o comun159

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