Il piccolo Hans - anno XII - n. 47 - lug./set. 1985

ma è altrettanto evidente che non si tratta di quella di invenzione rinascimentale. Di quale prospettiva si tratta? Se si cerca di vedervi una di quelle possibili indicate dagli studi di psicologia della percezione', si ottiene un risultato parziale, confuso, valido solamente per alcune, sia pur importanti, osservazioni. Molto acutamente, invece, Longhi ha oltrepassato il disagio della domanda: quale prospettiva?, scoprendo, come è noto, che Giotto sa usare la prospettiva, ma non ne fa un modello esaustivo di tipo geometrico-matematico, per una « meditata affermazione di un limite diverso» 3, ne fa un motivo « sperimentale », tenendola ai margini del dipinto. Si tratta piuttosto, secondo Longhi, di una « quadratura», che non invade il centro del dipinto, riservato alle figurazioni, dove « non debbono darsi spazi reali, ma solo sacre memorie di spazi che si compongono scomponendosi, quasi cubisticamente, nei vocaboli della 'storia'»'. Giotto, quindi, dipinge in prospettiva ai margini, mentre al centro egli « si sforza di sillabare » 5 una geometria diversa, quella sacra e verbale della « storia». Si potrebbe notare che si tratta di una struttura iperbatica uguale e contraria a quella che si riscontra in Dante: nella Commedia l'iperbato è ottenuto dall'apparizione di strutture dinamiche nel tessuto verbale, qui esso è formato dall'emergenza delle figurazioni dei verba della storia nel cuore di una spazialità prospettica. Tuttavia l'elaborazione di questa antinomia, di per sé, non ha molto valore, ciò che importa è che in Dante come in Giotto la tecnica dell'iperbato introduce nella narrazione un effetto di « reale nel reale », e .costituisce l'accesso al livello dell'« autentica» visione a partire dal contesto di una veduta (Giotto) o da una cultura - philosophia naturalis o canone poetico - dell'immagine della vista (Dante). 3) Per quanto riguarda Giotto è interessante notare che la struttura iperbatica della visione, l'effetto di « reale 149

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