Il piccolo Hans - anno XII - n. 47 - lug./set. 1985

Occasione d'oro per riprendere gesti goffi, volti alterati, espressioni caricate e insieme, sovente, ebeti. Ma che si tratti di uno stereotipo, e marcatamente « ideologico » (bassa condizione sociale = deformità corporea, grossolanità dei tratti) è, se necessario, confermato dallo schizzo nel primo canto (ottava 68) del messaggero che va in cerca di Bradamante. Ariosto lo descrive « afflitto e stanco »; Doré, al contrario, gli attribuisce il consueto volto« popolano », largo e rubizzo, il naso camuso, il corpo pesante; mentre il« ronzino » ariostesco diviene assai più simile a un asino che a un cavallo, e sia pure di modesta estrazione. Frati, gentuccia, mostriciattoli, animali domestici o da cortile con cui così spesso si associano, appaiono quindi come figure accentuatamente« naturali », quasi escrescenze della materia bruta nello stadio di una sua prima trasformazione nel vivente; e di questo luogo specifico presentano un'altra caratteristica: il pullulare, l'essere sempre « mucchio », « massa », « insieme » sostanzialmente indifferenziato. Opposta è la trascrizione (presentazione) dell'universo alto dei cavalieri, cristiani o pagani che siano, e delle loro aristocratiche donzelle. Sin dall'implicit del primo canto Doré li immerge in una solitudine che il silenzio maestoso della selva non fa che accentuare. Contro tale sfondo - e quasi quinta - essi si stagliano, associati ai loro destrieri umanizzati, proprio a costituire una presenza forte, specificamente diversa rispetto al mondo naturale entro cui agiscono. Fra i tronchi smisurati, l'intreccio dei rami, delle fronde, il contrasto di ombre e di luci, Ferraù e Rinaldo, Angelica fuggente, sono poco più che remote silhouettes, macchie a mala pena più scure, o più chiare, sul grigio vegetale. A dar loro icasticità è l'incessante movimento in cui sono colti, le criniere dei cavalli, l'impennarsi o il calare 105

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