Il piccolo Hans - anno XI - n. 43/44 - lug./dic. 1984

genza analitica che come sappiamo non ha niente a che vedere con la comprensione, con il capire. Il momento di silenzio del bambino segna la possibilità di questo spazio. Questo episodio ci dà occasione di avanzare quella che ritengo una distinzione che posso formulare con due espressioni: tecnica psicoanalitica e tecnica della psicoanalisi. La prima ci dà l'illusione che la tecnica sia un metodo, che si possa apprendere e applicare. La seconda invece, che chiamo tecnica della psicoanalisi, è quella che comprende insieme il lavoro del sogno e il lavoro del Witz, e possiamo forse definirla l'arte con cui la psicoanalisi lavora i soggetti. Non è lo psicoanalista che lavora sul soggetto e nemmeno con il soggetto, ma è la psicoanalisi che lavora su entrambi. Per questa caratteristica la tecnica della psicoanalisi non può essere scissa dalla metapsicologia. Vorrei qui soffermarmi un istante su questi aspetti della tecnica in psicoanalisi e vedremo solo alla fine quale portata essa abbia nell'esito della cura. Con il titolo del seminario di quest'anno ho posto la tecnica tra il dire e il fare. Chiedendomi perché tra il dire e il fare ho raccontato un aneddoto. In Francia si rifiuta l'espressione: fare l'analista. Il fatto che per i francesi analisti si è dice qualcosa anche riguardo al loro rifiuto di un'idea di un analista che applichi appunto delle nozioni come può avvenire per un mestiere. Ecco, in Francia una sola volta ho sentito qualcuno dire « fare l'analista». Era Lacan. Quando usò con me questa espressione in una conversazione privata certamente intendeva « fabbricare un analista», tendeva cioè a sottolineare quanto un analista debba metterci di suo, quanto lavoro, quanta « inventiva» per fabbricarne un altro. A noi serve oggi il doppio senso di questa espressione. Se fare l'analista non è possibile nel senso di una 31

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