Il piccolo Hans - anno XI - n. 43/44 - lug./dic. 1984

veniva a sostenere la funzione mancata del luogo della fobia, in cui il confine Italia-Svizzera fungeva da barriera del Dazio, Reggio era la sua stanza, la Germania il luogo del sapere. Il mio studio, dove arrivava sempre con un pezzo di pane, pane e circenses, pane e giochi, con cui saziare il volgo che io ero, e con cui anche fare briciole, si realizzava come l'occasione, di fronte a qualcuno che lui sapeva che scriveva di psicoanalisi, per depositare da qualche parte la prima mancata rappresentazione dell'apparato psichico. E, ancora, questo perché « non ero cascata», non ero una delle sue briciole, non ero un bambino, non ero suo figlio, una sua produzione, e nemmeno sua sorella, una sua riproduzione. Veniva lì riprodotta un'estraneità necessaria che nella sua storia era mancata, e che è l'estraneità messa in gioco per la prima volta nel luogo della fobia, nel quale non è l'altro a inscriversi, il padre cavallo, ma un tipo di rappresentazione, l'apparato psichico nel dazio, che ha tutte le caratteristiche della psicosi. La fobia distacca la nevrosi dal suo fondamento psicotico. Ma anche dal nucleo di verità di cui solo una traccia verrà portata avanti dalla ripetizione. La fobia, l'abbiamo visto con il seminario di Finzi dell'anno scorso, è quel presupposto scavalcato che resta però un punto di riferimento della perversione nel suo rapporto alla natura, ma che proprio nell'identificazione può sganciarsi dal perverso che diventa in quel momento preda della psicosi. Se in quel seminario, il significante Pinocchio era apparso nei sogni di un analizzante perverso ad aprire il collegamento con le marionette e con il gioco delle qualità e delle quantità, un'altra favola scritta da un altro Collodi, Sussi e Biribissi, può diventare un'occasione di riflettere su specularità, identificazione e fobia 18

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