Il piccolo Hans - anno XI - n. 43/44 - lug./dic. 1984

forma sulla esperienze da cui fu sopraffatto in quel carcere, prima di cominciare a poetare. Insomma, fu proprio in prigione che Cellini ebbe chiare visioni, udì profezie e credette di possedere in prima persona una capacità profetica; visse cioè in una sorta di stato onirico, nel quale via via si sentì a proprio agio. Queste esperienze si potrebbero facilmente liquidare sotto la denominazione di « psicosi carceraria », ma non possiamo accontentarci di questa definizione. Anzitutto bisogna esaminare le esperienze psicotiche nell'ambito della loro determinazione psichica significante. Esse vanno annoverate alla tendenza dell'animo a soddisfare i desideri; in secondo luogo, né una diagnosi psichiatrica, e neppure una considerazione psicoanalitica di tale fatto, è in grado di spiegarci perché si sia manifestato un talento particolare, o - volendo esser cauti con i giudizi di valore - perché una già acquisita capacità di espressione artistica abbia ceduto il posto a un'altra forma di espressione artistica. Certo, si potrebbe pensare che l'attività poetica sia di per sé spiegabile ricorrendo all'intensità di queste esperienze: che cioè l'intensità di queste esperienze potesse essere abreagita soltanto per mezzo dell'opera poetica. Ma non possiamo avvalorare questa ipotesi. Infatti Cellini non avrebbe potuto lamentarsi in altro modo per i patimenti, per la minaccia di morte, per gli accidenti, per le sue malattie, anche molto gravi? Se non vogliamo contentarci di meri mutamenti quantitativi, non dobbiamo perciò richiamarci all'intensità di questa esperienza, né al narcisismo, che in carcere si era probabilmente accentuato. L'impossibilità di praticare il familiare uso creativo della mano, e cioè di modellare, costrinse l'artista così duramente colpito a rinunziare del tutto a questa attività, o quanto meno a ridurla al minimo. Ma perché non continuò a disegnare (attività a lui molto cara)? L'inchiostro che aveva preparato in 148

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