Il piccolo Hans - anno XI - n. 43/44 - lug./dic. 1984

tatto non fu sempre attento, come dimostrano: i suoi non ineluttabili contrasti con colleghi ed allievi, certe intemperanze ricordate da chi l'ebbe come terapeuta e l'assenza di ogni riferimento al tatto, se non dal punto di vista strettamente neurologico, in tutta l'opera sua. « Io sono arrivato», diceva Ferenczi, « alla convinzione che il tempo e il modo di comunicare una certa cosa al soggetto in analisi, quando il materiale fornito si debba dichiarare sufficiente perché se ne possano trarre delle conseguenze, in quale forma si debba eventualmente porgere la comunicazione, come si debba rispondere ad una reazione inattesa o stupefacente del paziente, quando sia consigliabile tacere e attendere altre associazioni e quando invece il silenzio costituisca un inutile tormento per il paziente, e così via; tutto ciò sia soprattutto una questione di tatto» (le sottolineature sono mie). « Tatto» precisava Ferenczi, « è la capacità di mettersi nei panni di un altro»; ma poiché il mettersi nei panni di un altro senza confondervisi mi pare essere la migliore definizione di quel che intendiamo per empatia, trovo più corretta l'espressione di Poland, quando afferma essere l'empatia il polo sensoriale del funzionamento dell'analista, di cui il tatto rappresenterebbe invece il polo motorio. Apprendiamo, insomma, e comprendiamo con l'empatia ed è servendoci del tatto che interpretiamo. « Non sussiste alcuna differenza», continuava Ferenczi, « fra il tatto che ci viene richiesto e l'esigenza morale di non fare agli altri ciò che nelle medesime condizioni non vorremmo fosse fatto a noi»; dal che deduceva che « la capacità d'esser buono non è altro che un aspetto della comprensione analitica». Col patrocinio di Ferenczi il tatto viene dunque a far parte del1'etica psicoanalitica, anche dell'etica psicoanalitica, ché nell'etica senza aggettivi lo aveva di già collocato indi126

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==