Il piccolo Hans - anno XI - n. 43/44 - lug./dic. 1984

ogni dogmatismo da parte di certi colleghi, che si continuerà incessantemente come una costante nella evoluzione del movimento psicoanalitico fino a portare alcuni (Tausk, Rank, Reich), per motivi non dissimili, in tutt'altra orbita teorica o personale. · Di altre precedenti divergenze tecniche Ferenczi aveva fatto ammenda, col riconoscere onestamente come i suoi esperimenti di «terapia attiva» dovessero considerarsi falliti, anche se lodevoli erano state le intenzioni che li avevano promossi, e concludendo che non v'erano scorciatoie nel processo analitico che fossero praticabili senza rischio anche da parte di analisti sperimentali, i soli che in teoria potrebbero permettersi di tentarle. La storia ha poi dato ragione ad un altro - divergente - atteggiamento di Ferenczi: quando prese partito, in linea con Freud, ma con foga ancora maggiore, per la cosiddetta analisi laica: una propensione che, nel corso di una sua «missione», negli Stati Uniti, parve assumere addirittura il significato di una preferenza, fino a procurargli molti contrasti ed inimicizie. Poiché la psicoanalisi è insieme ricerca e terapia, le divergenze devono tener conto, sia nella teoria che nella pratica, della prioritaria necessità di non nuocere (secondo la massima della medicina antica: «primum non nocere»). Sembra che in Ferenczi e nella su2 scuola, si pensi ad esempio anche a Balint e Nacht, siano felicemente rispettate sia l'esigenza di salvaguardare l'oggetto della ricerca che quella di approfondirne la conoscenza, tanto che egli può essere considerato, per questo rispetto del paziente, come l'analista che per primo ha adeguatamente trattato il problema del tatto nella terapia, in più occasioni, ma particolarmente nel già citato articolo sulla elasticità della tecnica. Il che non può meravigliarci dopo quanto s'è detto a proposito delle sue inclinazioni, delle sue resipiscenze e di una certa polemica in sordina con il maestro, che ai problemi del 125

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