Pègaso - anno V - n. 6 - giugno 1933

// centenario dell'Ariosto 6 6 9 l'appoggio della riflessione d o t t r i n a r i a . M a A r i o s t o è ancora f u o r i da questa minaccia; i n l u i la fantasia che basta a se stessa, n o n ha bisogno d i cercar le sue regole f u o r i d i sé. L ' i n g e n u i t à del suo canto sta i n ciò che egli, p u r cantando cose irreali, n o n costruisce né per– sonaggi n é avvenimenti, ma lascia che si f o r m i n o da sé. Le sue crea– z i o n i sanno d i essere i r r e a l i , e sanno d i poterlo essere impunemente, p e r c h é i l senso d e l l ' i r r e a l t à n o n le annulla, né le compromette. I l sogno è destinato a svanire quando col risveglio la coscienza della r e a l t à riprende i suoi d i r i t t i , perché i l sogno, per la sua durata, si sostituisce alla r e a l t à . M a la poesia del « F u r i o s o » n o n pretende operare d i t a l i sostituzioni. A r i o s t o guarda, n o n costruisce i l suo m o n d o ; ma p u r guardandolo come si guarda una r e a l t à i n d i p e n – dente, sa che esso non è r e a l t à ; l o sa n o n per una riflessione perso– nale, ma p e r c h é la contemplazione d i quel mondo glielo dice. Quel mondo esiste per sé, ma n o n come una materia massiccia e opaca; esiste come u n sogno che, p u r trovando i n sé la sua coerenza e la sua ragion d'essere, vela con la sua trasparenza, ma non nasconde la r e a l t à . D i e t r o la bella donna che incanta c'è, e n o n cerca nascon– dersi, la vecchia carcassa d i A l c i n a . A r i o s t o guarda con occhio i n – cantato quel velo che copre e n o n nasconde : si bea della bellezza affascinante con cui la maga g l i si offre, p u r sapendo che dietro d i essa ci è la vecchia e l u r i d a carcassa d i cui p u ò raffigurare i linea– m e n t i sempre che vuole; n o n vuole p e r c h é preferisce trattenere l o sguardo sul velo dei sogni, a n z i che spingerlo sulla presente r e a l t à che è dietro d i esso. L a faccia d i quella r e a l t à , anche quando sem– bra stracciare, come avviene i n qualche riflessione, i l velo, che la copre, l o induce a sorridere dei sogni i n cui si è indugiato e a sor– ridere d i se stesso che v i si è indugiato, ma non l o offende p e r c h é ne conosceva l'esistenza. P i u t t o s t o essa g l i giova p e r c h é sta a d i m o – s t r a r g l i che la v i t a n o n è la poesia, a r i c o r d a r g l i , anche nei m o – m e n t i d'abbandono, che a quelle creazioni che g l i stanno d a v a n t i p u ò prestar fede solo finché resta nel cerchio magico dell'arte; f u o r i non fu sì santo e sì benigno Augusto come la tuba di V i r g i l i o suona. A n z i , siccome i l modo p i ù o v v i o e sbrigativo d i pensare la d i f – ferenza d i due t e r m i n i , e q u i sono i t e r m i n i della poesia e della v i t a , è quello d i presentarseli come contrapposti, egli n o n esita a dire che per conoscere la v e r i t à bisogna capovolgere senz'altro le afferma– z i o n i della poesia, fino a credere che Penelope, solo p e r c h é celebrata da Omero come esempio della castità e della fedeltà matrimoniale,

RkJQdWJsaXNoZXIy