Pègaso - anno V - n. 6 - giugno 1933

i n tutte le sue inflessioni, i n tutte le sue parole. Riso ariostesco, n o i diciamo p e r c h é è i l segno caratteristico dell'arte d i L u d o v i c o A r i o – sto; ma è u n requisito che ad A r i o s t o n o n è p r o p r i o che nella sua perfezione. Esso è l'aspirazione i n t i m a , se p u r n o n completamente realizzata, d i tutte le opere d'arte della rinascenza che, a cominciare dal « Decameron », sono opere d'arte che non sanno dissimulare la l o r o coscienza d i essere opere d'arte, e ciò indipendentemente dal l o r o contenuto i r o n i c o o giocoso. N e l « Decameron » l'accenno si vede fin dal proemio, fin d a l l ' i n t r o d u z i o n e , dove la peste è descritta non t a n t o p e r c h é i l cuore ne sia commosso, quanto p e r c h é la cor– nice delle novelle deve essere lavorata e ben lavorata. Le sventure, le m o r t i , le sofferenze sono ricordate p e r c h é i n quel l a v o r o t r o v a – no o p p o r t u n o collocamento e l'adornano. Si p u ò dire che la legge– ra vena d ' i r o n i a che sentiamo muoversi attraverso le p r i m e parole : « Quantunque volte, graziosissime donne.... », abbia invaso n o n solo t u t t o i l l i b r o , ma t u t t a la letteratura del rinascimento. G l i auto– r i fanno t u t t i capire che per l o r o la cosa p i ù i m p o r t a n t e è a p p u n t o d i essere a u t o r i . N o n per n u l l a i personaggi della commedia del tem– po, p u r cercando d i fare la l o r o parte con t u t t a serietà, d i t a n t o i n t a n t o non sanno tenersi dal manifestare al p u b b l i c o che i n fondo essi stanno lì non per vivere ma per rappresentare, e che si accon– ciano ad entrare i n quelle congiunture solo p e r c h é la commedia deve andare a v a n t i . È ciò che avviene anche nell'epistolografia : basta che chi scrive, facendo per u n momento passare i n seconda linea g l i scopi seri o scherzosi per cui scrive, si proponga come c o m p i t o principale la composizione della lettera, p e r c h é una speciale vena d ' i r o n i a cominci a scorrere tra le sue parole. L ' i r o n i a n o n è nella sua intenzione, ma nella sua coscienza d i n o n essere là per rag– giungere uno scopo serio o scherzoso, ma per scrivere una lettera. Anche A r i o s t o era là n o n per raccontare i casi d i Angelica, O r l a n d o , Ruggiero e Bradamante, ma per comporre i l poema; nel suo poe– ma le cose r i d o n o p e r c h é hanno la coscienza d i esistere i n arte e sen– tono che quest'esistenza artistica basta a se stessa. Quando A r i o s t o scriveva, la tendenza ad agire per regole, che era nel fondo del rinascimento fin dalle sue o r i g i n i , già stava i n ag– guato, e già era scoperta l'arte poetica d i Aristotele che d i essa si a p p r e s t e r à ad essere l ' i s t r u m e n t o p i ù v a l i d o . Presto avremo le re– gole, e con le regole u n i r r i g i d i m e n t o , un'ossificazione della mate– ria poetica; anche la compagine del poema d i v e n t e r à qualche cosa che deve essere costruita per arte, cioè secondo certi criteri fissi e pre– supposti, p e r c h é la fantasia spossata della sua s p o n t a n e i t à cercherà

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